TRA IL DIRE E IL FARE: LA VERITÀ NELL'ERA DIGITALE
di Franca Mancini
Nel mondo delle interazioni virtuali, sempre più spesso ci domandiamo come dare spazio alla 'prova vita', soprattutto quando non c'è 'campo' e sembra di non esistere perché siamo tutti disconnessi. Come ritrovare, pertanto, quel desiderio che irrora speranza nell'organo del senso della vita, facendolo pulsare e rigenerando piacere e felicità? Tra il dire e il fare, il dubbio verte su quale sia la verità nascosta che contrasta le pseudo-verità diffuse massicciamente da questa era digitale, basata su un individualismo sfrenato che conduce fino al comportamento 'non me ne importa degli altri, accada quel che accada'. Mentre assistiamo ad un atteggiamento inappropriato che concentra tutta l'attenzione delle persone su se stesse, avanza una sorta di fatalismo e una forma di puro narcisismo individuale che dà importanza solamente all’immagine, all'apparenza e all'estetica, intesa come cura dell'esteriorità a discapito della propria interiorità. Sempre più velocemente, sembra avanzare un impoverimento delle connessioni umane-personali di dimensioni molto preoccupanti, che presto potrebbero portare all'apatia individuale. Come difendersi da questo male e cos'altro possiamo postare sui social network e twittarlo a tutti per rivendicare la nostra vera essenza e verità umana? Quale parola chiave trovare per dare senso e piacere alla vita, che fa 'campo' per star meglio con se stessi? Credo che si possa trovare e postare con la frase 'prendersi cura dell'altro', non come atto di generosità fine a se stesso ma come verità antropologica ed esistenziale anche in questa era digitale. Tanto per riconoscere un atto di cura come un modo di essere essenziale e irrinunciabile nella vita relazionale, legato alla sopravvivenza dell’esistenza e dei suoi valori più profondi. È una dimensione frontale originale, connaturata all'uomo, che è impossibile alterare completamente. Un modo di essere senza il quale cesserebbe di essere umano, di strutturarsi e di farsi conoscere. Dalla sua nascita fino alla vecchiaia ha bisogno di ricevere una cura premurosa, altrimenti si destruttura, perde il senso e viene meno. Se nel corso della sua esistenza, inoltre, non continuasse a fare con cura tutto ciò a cui mette mano, anche nei confronti dell’ambiente e della natura, finirebbe per nuocere se stesso e distruggerebbe tutto ciò che gli sta attorno. Come parte dell'essenza umana, la cura verso altro o altri deve essere presente in tutto. Secondo il filosofo Martin Heidegger “L'espressione cura sta a indicare un fenomeno che è la base dell’esistenza umana in quanto tale e la rende possibile”. Se invece del consueto 'me ne frego degli altri' ci occupassimo degli altri con solidarietà e vicinanza – in modo più emotivo e meno opportunistico - potremmo realizzare noi stessi e generare dal profondo del nostro essere quell’agognato benessere, come la felicità e il senso della vita. Tra il dire e il fare, però, non dobbiamo scivolare nella menzogna esistenziale, credendo di essere perfetti e invulnerabili, mentendo a noi stessi senza saperlo, negando la verità ed il principio di realtà, costruendoci semplicemente una maschera per difenderci dal dolore e dal giudizio altrui, confondendola con la verità assoluta. Una menzogna con cui spesso interagiamo e ci difendiamo per nascondere il nostro lato oscuro, le nostre debolezze, i nostri vizi o - in senso junghiano - la nostra ombra. Secondo lo psicoanalista Donald Winnicott, si installa con orgoglio e con pretesa in un falso sé, in un ideale di perfezione a cui non vogliamo rinunciare per non farci male, forse per non combattere e reagire diversamente. La menzogna esistenziale serve per difendersi dalla verità del nostro tempo, dall'angoscia di 'connessioni' impersonali e virtuali che servono solo per imporre agli altri la propria volontà di dominio. Per non farci schiacciare dall'iperdigitalizzazione strumentale, forse non dobbiamo scambiare il nostro 'esistere' con il dare aiuti materiali e cose, bensì recuperare noi stessi come espressione di libertà più bella e desiderata dagli altri. Forse, se non scappiamo da noi stessi, rimanendo 'diversamente connessi', possiamo trovare una verità più sana e nutriente e, tra il dire e il fare, sentirci comunque figli dell’era digitale. Possiamo aprire un varco in mezzo al caos che ci circonda, con la chiave del libero arbitrio e del pensiero positivo.