L’URLO DEL DANUBIO di Marinella Tumino
Viaggio dell’anima sui binari della memoria storica.
La responsabilità della memoria
a cura di Chiara Ortuso
Un pellegrinaggio dell’anima, un nostos nei molteplici luoghi dell’impronunciabilità, dell’afasia, dell’impossibilità, dell’incapacità di trovare nomi adatti a proferire il dolore, ad enunciare il massacro spalancato sul baratro che rimbomba dal gelido grido di chi, tra le pagine ingiallite della memoria, appare in qualità di testimone sommerso, di un martire dell’olocausto, dell’eccidio forse più spaventoso della storia dell’umana specie: la shoah. Così, inerpicandosi alla ricerca di un significato che si cela tra le rotaie impazzite di un treno in fuga dalla comodità del vivere, il testo di Marinella Tumino, docente di materie letterarie presso l’I.T.I.S “E. Majorana” di Ragusa, l’Urlo del Danubio. Viaggio dell’anima sui binari della memoria storica (edito da Operaincerta, prefazione di Danilo Amione, pagg. 147, anno di pubblicazione 2018), scava nei recessi scuri del ricordo, presentandosi come un’introspettiva ed accurata indagine dei silenziosi sentieri in cui è avvampato, come roseto ardente, il dramma ebraico, delle vie dei quartieri dove lo sterminio di un intero mondo ha assunto la sua macabra forma di delirio danzante, delle strade delle città in cui il nazionalsocialismo tedesco ha orchestrato la sua mostruosa creatura: quella che va sotto il granitico e sfuggente termine di soluzione finale. Sfilano in tale maniera, attraverso nitide istantanee di paesaggi, costumi, tradizioni e monumenti storici, le grandi metropoli europee quali: Monaco di Baviera, Amsterdam, Roma, Budapest, Cracovia e, insieme ad esse, riecheggiano i passi che l’autrice, commossa, compie e magistralmente racconta nel rifugio della famiglia Frank, nel ghetto ebraico di Ferrara, nel primo campo di prigionia edificato dalla follia nazista, Dachau, nella nostrana Risiera di San Sabba, trasformata dalla crudeltà umana in luogo di morte e prigionia, nelle pietre d’inciampo dei martiri ebrei a Roma, nelle figure del barbiere di Birkenau, del gelataio italiano di Budapest, nelle immagini delle scarpe degli ebrei trucidati lungo il corso del Danubio, nei fotogrammi degli amori di chi è sopravvissuto alla strage attraverso la straordinaria e miracolosa scoperta di una passione fiorita nel cuore della morte. Per mezzo di una terminologia esperta che si muove tra i riferimenti alle fonti storiche e la conoscenza di quanto è stato, la Tumino coinvolge il lettore in un turbinio di emozioni ovattate, di solitudini celate, di trepidazioni e commozioni sottese, impreziosendo il suo testo di memoria e rimpianto con liriche di estrema profondità e bellezza. E mentre l’agghiacciante monito: “Il lavoro rende liberi” -Arbeit macht dich Frei- rimbomba come triste comando di fiele e veleno, al contempo risuona la voce del filosofo franco-ebreo Emmanuelle Levinas che invita alla responsabilità nei confronti dell’altro, nei riguardi del volto di Altri, di colui che, indigente, annichilito e abbrutito, risulta essere, tuttavia, il solo a fondare, rendendolo vero, il concetto di libertà. Perché sin quando esisterà, in questa sperduta landa dell’universo chiamata terra, un solo uomo condannato alla schiavitù dei sensi e dello spirito, costretto a spogliarsi della sua dignità, di quanto di più caro possiede, nessun esistente potrà rivendicare il diritto di essere un uomo. Un uomo che, anche e soprattutto nell’imperversare della devastazione e della rovina, si rivela abile a rinascere, sbocciando nel fiore di una carezza, di un abbraccio, nel calore di un ritrovato sorriso, nella stretta di mano di chi non dimentica il valore della sussistenza, dell’Esser-ci, dello stare al mondo. In conclusione, pertanto, e alla luce di quanto detto, non posso che consigliare vivamente ad un nutrito pubblico, la lettura di un diario intimo che, costantemente ed incessantemente, richiama, attraverso pagine di un’immensa delicatezza e umanità, il dovere di tracciare su carta indelebile i segni fugaci, ma incancellabili della rimembranza, di un pensiero memorante capace di raccontare, nel suo essenziale disvelamento, le verità ferite della storia.