SPECIES. BESTIARIO DEL TERZO MILLENNIO di Gabriella Vergari
Oltre l’indagare umano la verità dell’essere nella specificità della propria identità
Recensione a cura di Teresa Laterza
Vi è una cura raffinata della parola e una disinvolta sicurezza e armonia del linguaggio nell’opera letteraria Species. Bestiario del terzo millennio (Boemi Editore, anno di pubblicazione 2012, pagg. 113, con illustrazioni di sanguigne dell’artista Antonio Viola) dell’autrice siciliana, catanese, Gabriella Vergari. Quindici piccole storie allegoriche che l’autrice, prendendo spunto dalla tipologia propria del Bestiario medievale – raccolta di testi illustrati, che descrivono animali, anche mitologici e immaginari, accompagnati da spiegazioni di natura morale e religiosa –, costruisce, riadattandone e modellandone i significati al nostro tempo in cui tanti sono i dubbi così come gli interrogativi e le contraddizioni. Ogni storia, narrata in prima persona dall’animale di turno, travolge con ironia attraverso divertenti giochi di parole la cui vividezza nelle descrizioni consente al lettore di figurarsi le immagini. Stratagemma creato ad arte dalla Vergari è quello di non rivelare nell’immediato i protagonisti delle storie che – in alcuni casi, “arrabbiati” con l’Onnipotente (come l’unicorno che non è mai nato sul serio, in quanto creatura leggendaria, e che è destinato a rinunciare alle gioie del sesso in quanto ermafrodita, o la capra somigliante alla pecora ma declassata e poco considerata, o la balena che si ciba di plancton e che non mangia certo bambini come nella storia di Pinocchio, o uomini, come Giona nella narrazione biblica, o ancora lo struzzo che la prende sempre in quel posto…) – si atteggiano a eroi, vittime, sfortunati esemplari oratori, sognatori… Le buffe storie narrate dall’autrice fanno sorridere, in alcuni casi rattristare, e in altri intenerire. Nei racconti dei curiosi animali, l’autrice adotta il monologo, modalità narrativa, che non solo consente maggiormente al lettore di immedesimarsi negli stati emotivi del “soggetto” narrante, ma richiama anche l’idea del teatro, del palcoscenico, del dramma; drammi che benché messi in scena da animali – attraverso una “trasposizione” – assumono significati propriamente umani. Troveremo così – nel racconto Saudate – il pesce dell’acquario che non avendo mai visto l’oceano stenta a credere alle parole pregne di nostalgia di un suo simile: «Dice che lui lo sa cos’è la vita, quella vera, voglio dire. Perché prima della cattura l’ha vissuta. Allora io gli rispondo che non capisco, che mi pare si viva benissimo anche qui. Abbiamo tutti la nostra identità. Sono uno dei quindicimila. Ho un numero tutto mio e, scusate se è poco, mi dovesse capitare qualcosa, Loro se ne accorgerebbero e provvederebbero. Mangiamo tutti i giorni, stiamo bene in salute e ci sono femmine in abbondanza. Credo di aver pure messo al mondo un migliaio di figli all’incirca, ma in questo non c’è nulla d’insolito visto che sono un pesce e vivo nell’Oceanario di Lisbona, l’acquario più grande d’Europa. E, sapete com’è, la promiscuità, il quieto vivere, l’inattività coatta… Ed ecco, che quando credo di averlo messo a tacere con le mie brave ragioni, lui mi sorride, slargando quel suo musone fesso con una smorfia di compatimento come a dire che il fesso in realtà sono io, e se ne viene con quella sua storia dei profumi e degli odori: “E le alghe? Come la metti con le alghe?”. E poi l’affondo finale: “E che mi dici delle correnti? Quelle belle forti, che ti trascinano e travolgono e senti vigorose attorno a te?”». Tale racconto ci riporta un po’ al mito della caverna di Platone che privilegia però maggiormente l’aspetto conoscitivo o ancora, senza scomodare troppo la filosofia, a quell’atteggiamento di comodo di chi, soddisfatto del suo quieto vivere, preferendo coltivare il proprio giardino non volge lo sguardo in altro luogo, ove potrebbe esistere questa “ipotetica” (non avendola mai sperimentata, nel caso del racconto) libertà, ma potrebbero esserci anche le brutture, le sfide e i pericoli che preferisce non affrontare: la preservazione, insomma, di quella zona di comfort, qualora si volesse tirare in ballo terminologie e significati psicologici. In realtà la caratteristica di ciascuna storia è proprio la possibilità di una lettura da diversi punti di vista – lasciandone libera interpretazione – il cui terreno comune è quell’ironia che, in un certo senso, come nel “sentimento del contrario” pirandelliano consente di riflettere sui “drammi” che si celano dietro l'apparenza o il sorriso. Significativo a tal proposito è il racconto Giochi di specchi nel quale una scimmietta desiderando ardentemente diventare umana, al termine del suo soliloquio meditativo giunge alla conclusione che l’uomo dissimula le verità. Anche in questo caso potrebbero tornare utili le reminiscenze in riferimento al drammaturgo girgentino delle mille maschere e del nessun volto… e, contro questa forma di adattamento o conformismo, la conseguente necessità di riappropriarsi di una stabile identità: «Vorrei spiegare a coloro che affannosamente mi interrogano che cosa sono e perché sono. Ma non posso, non lo so… Una vita può bastare come mille…» (Dal racconto Flussi). Interessante, a proposito della capacità di camuffarsi, è il racconto Prospettive nel quale un camaleonte si pavoneggia per la sua capacità di mimetizzarsi, confondersi, conformarsi – un po’ come chi si defila cercando di passare inosservato, sfuggendo alla proprie responsabilità – ma che poi alla fine, così abituato per natura all’arte di mimetizzarsi, in un momento di lucidità, citando le parole della Vergari, dice: «Mi sono guardato allo specchio e… diamine, non mi sono ritrovato!» L’opera della scrittrice porta a riflettere sui falsi miti, sui vagheggiamenti dell’uomo contemporaneo abbagliato dal potere – che si cura solo di sé –, dal successo, dalla smania di controllo, dalla mania di onnipotenza con le lusinghe che creano spesso scienza e tecnica… Una materializzazione dell’azione di Prometeo che, ribellandosi alle regole divine, per colmare il desiderio di conoscenza degli uomini regala loro il fuoco della conoscenza; conoscenza che, se da una parte è necessaria alla vita degli uomini, dall’altra, ossessivamente ricercata, determina l’infelicità e la dimenticanza del senso più autentico dell’esistere. In un apparente caos che vede la convivenza di specie così diverse tra loro ne deriva che, nonostante la posizione di ogni specie in una fantomatica scala della “fortuna”, nessuno stia meglio di un altro. In tutte le specie, compreso l’uomo, una sorte comune è quella di poter godere di alcuni pregi della propria specie di appartenenza così come di “patire” per altrettanti “limiti”. Ognuno sogna in realtà ciò che non è e vorrebbe essere. Così, nei racconti della Vergani, il grosso elefante sogna di essere una libellula, la scimmia aspira ad essere un uomo, ma anche l’uomo – che crede di essere in una posizione privilegiata, al di sopra delle specie meno fortunate – teme qualcosa di infinitamente piccolo come il virus. Notevole e ingegnoso è il lavoro della Vergari nel rivelare così tanti significati e altrettante verità servendosi di allegorie dalle molteplici interpretazioni, a seconda della prospettiva dalla quale si “guarda”. Nel tentativo di trovare un senso all’esistenza nelle diversità delle varie specie, la consapevolezza che ne deriva è che ogni essere ha la sua funzione – siamo una catena composta da anelli che servono l’uno all’altro – e la sua ragion d’essere in sé, e che la vita è quella che è. Un’opera letteraria adatta ai più piccoli per i buffi e curiosi animali trattati, così come ai grandi per le svariate sfaccettature interpretative. Assolutamente da leggere.
INTERVISTA a Gabriella Vergari sull’opera letteraria Species. Bestiario del Terzo Millennio
Come nasce l’idea di questo libro?
Se devo essere sincera, non avrei mai immaginato di realizzare un simile testo, prima di vedermelo per così dire fiorire davanti, monologo dopo monologo. Un primo abbozzo mi si è comunque delineato all’Oceanario di Lisbona, un impressionante tributo al mare e alle sue infinite vite subacquee. Così è nato Saudade, il primo dei 15 momenti che compongono l’opera. Qualche tempo dopo, ho assistito ad una rappresentazione del Prometeo Incatenato di Eschilo, in cui l’aquila di Zeus mimava una sorta di danza attorno al corpo del Titano. Un momento molto suggestivo - teso a sottolineare l’inscindibile legame tra chi esercita il dominio e chi lo subisce-, cui devo la genesi di Cicli. Il resto è poi venuto da sé, in modo quasi naturale.
Quali caratteristiche dovrebbe avere secondo lei un buon Bestiario?
Quello medievale era, com’è noto, destinato a fornire una rappresentazione del mondo attraverso la sua fauna meno conosciuta e più esotica, ma finiva per essere una sintesi quanto mai ricca e variegata dell’immaginario collettivo. Fondeva infatti gli elementi reali con quelli simbolici, ponendo gli animali al centro di un universo destinato tanto ad illuminare la conoscenza della vita e delle sue manifestazioni, quanto a fornire ammaestramenti e insegnamenti di ogni genere. Ecco, credo che ancora oggi un Bestiario debba rispondere a questi requisiti. Non a caso ho scelto come titolo Species, un termine latino polisemico che può essere inteso come “bellezza”, “apparenza”, “forma esteriore”, ma pure “genere”, appunto “specie”. Ho anche aggiunto il sottotitolo di Bestiario del Terzo Millennio, nell’intento di riassumere tutta una serie di falsi miti della nostra contemporaneità, che gli animali scelti nel mio libro ora mettono in discussione ora incarnano. L’intento è ovviamente quello di aiutarci a comprendere meglio noi stessi, come se ci guardassimo attraverso lo specchio (un altro possibile valore del termine “species”) delle diverse condizioni che gli animali ci prospettano. E anche in questo senso ho voluto “giocare” un po’ con il lettore, scegliendo, per i diversi monologhi, di non chiarire subito in apertura chi possa esserne il protagonista, ma di impiegare un sostantivo astratto che inviti a riflettere sul tema di volta in volta rappresentato.
L'importanza dell'ironia nella trasmissione dei significati per Gabriella Vergari...
Fondamentale per evitare che il Bestiario scada in un indigesto paternalismo o, peggio ancora, in un dozzinale “prassedismo”. Non ci si vuole affatto ergere a maestri di chissà quale superiore dottrina né a moralisti o a fanatici persecutori dei vizi altrui, ma solo sollecitare la riflessione su alcuni fondamenti dell’esistenza. L’ironia è però anche una chiave che sento molto congeniale e credo aiuti a mantenere un distacco funzionale a perfezionare l’osservazione del reale. Mitologia e allegoria nel suo libro... Per quanto sopra detto, risulta facile comprendere come entrambe, nel mio libro, si intersechino continuamente. Ho comunque voluto inserire animali di ogni tipo, da quelli più vicini al mondo del mito a quelli più umili, come gli insetti e persino i parassiti. C’è perfino una sequenza in cui si parla del potere dei “virus”, senza poter mai immaginare, al momento della realizzazione del Bestiario, quanto questa affermazione si sarebbe potuta oggi rivelare drammaticamente e perentoriamente vera. Mi sono anche sforzata di mantenermi fedele alle fondamentali caratteristiche zoologiche di ciascun esemplare proposto, così da non eccedere nel processo di trasposizione simbolico-metaforica.
Se il suo libro dovesse essere una frase, quale sarebbe?
Difficile a dirsi. Me ne vengono in mente parecchie e così spero anche ai papabili lettori, che mi piacerebbe venissero sollecitati su più fronti e versanti. Volendo proprio sceglierne una, direi che non ci si dovrebbe mai dimenticare che ci troviamo tutti sotto lo stesso cielo. Per questo diventa essenziale comprendere e trovare il proprio posto nel mondo, in modo da accettarlo e viverlo con pienezza. Ma anche non abusare in alcun modo del proprio potere ritenendosi, per dirla con Nietzsche, al di sopra del bene e del male.
In quale formato è disponibile la sua opera letteraria?
Si tratta di una pubblicazione affine a quelle d’arte, sia per la scelta della carta che delle caratteristiche tipografiche, ispirate a quelle di un manoscritto antico. Ogni monologo è inoltre illustrato da una sanguigna dell’artista Antonino Viola. Anche per questo si è scelto un formato particolare, ovvero quello che comunemente si definisce A4.
A proposito del suo libro...
Mi piacerebbe citare dalla Prefazione del critico d’arte Francesco Galli Mazzeo: I capitoli di questo quaderno personale, di questo diario dell’altro, si svolgono sulla dodecafonia della discontinuità, dove la semplicità è un punto di arrivo, per progressive tappe di analisi e di autoanalisi che diventano pagine e pagine di grande densità contenutistica, che mi richiamano alla mente altre pagine della scrittura femminile del novecento, non tanto per somiglianza, quanto per spessore, in una strada in cui è possibile trovare le avventure di Elsa Triolet, le titubanze di Anais Nin, gli slanci di Luce Irigarai. […] Mi seduce molto, il tempo circolare di queste pagine, continuamente arricchite di una certa imprevedibilità, per cui sembra che tutto sia sempre sul punto di farti una rivelazione, ma poi ti rimanda ad un momento successivo, aprendo una metafora dopo l’altra e facendo della premessa una infinita contemplazione dell’enigma, per cui rimane intatta la sensazione di preziosità di questo piccolo scrigno, che si dilata immaterialmente, molto di più della sua consistenza materiale, che finisce appunto per essere accidentale, rispetto al sapore e al sapere che ti lascia, quando sei arrivato all’ultima pagina. Dove e come è possibile acquistare il suo libro? Come si suol dire, nelle migliori librerie fisiche. On-line, si può trovare su e-bay o sul sito dell’editore Angelo Boemi.
In quale formato è disponibile la sua opera letteraria?
Si tratta di una pubblicazione affine a quelle d’arte, sia per la scelta della carta che delle caratteristiche tipografiche, ispirate a quelle di un manoscritto antico. Ogni monologo è inoltre illustrato da una sanguigna dell’artista Antonino Viola. Anche per questo si è scelto un formato particolare, ovvero quello che comunemente si definisce A4.
BIOGRAFIA
Dottore di Ricerca in Filologia Greco-Latina, e libera cittadina della Repubblica dell’Immaginazione, Gabriella Vergari è nata a Catania, dove vive e insegna, coltivando con amore l’incanto per gli antichi e nuovi suoni. Sono così nati: Una letteratura latina, Imago Maiorum, Catania, 2010, di cui è coautrice insieme a G. Salanitro, A. Pavano e A. M. R. Tedeschi; un breve romanzo, Inganni Cortesi, Il Girasole edizioni, Valverde (Ct), 1990; raccolte di racconti e short stories, come: Sirene, chimere e altri animali, Chieti, 1993, e L’Isola degli elefanti nani, AG edizioni, Catania, 2003; il volume Ereia, della collana Continente Sicilia, insieme al fotografo A. Garozzo, Domenico Sanfilippo Editore, Catania, 1994; un paio di pièces teatrali come Scupa! in Voci di Carte, Il Girasole edizioni, Valverde (Ct), 2008; un bestiario, Species. Bestiario del terzo Millennio, Boemi, Catania, 2012. Con il pittore F.Blandino ha già realizzato Volteggi. Orizzonti di Immagini e Parole, Borè, Tricase (Le), 2018. È inoltre autrice di contributi scientifici, apparsi su riviste scientifiche anche internazionali, e poiché, parafrasando Kavafis, la scrittura le ha sempre dato il viaggio, anche di articoli e interventi critico - culturali, su periodici, cartacei e online e magazines di settore. Dalla sua collaborazione con uno di questi, «Vivere», è nato Capriccio Siciliano, Carthago edizioni, Catania, 2018, una dichiarazione d’amore per la sua terra. Insegna in corsi di scrittura creativa per ragazzi. Alcuni suoi racconti si trovano pubblicati in antologie e miscellanee di scrittori contemporanei.
Passo del libro Species. Bestiario del terzo millennio riportato con il consenso dell'autrice
«Dice che lui lo sa cos’è la vita, quella vera, voglio dire. Perché prima della cattura l’ha vissuta. Allora io gli rispondo che non capisco, che mi pare si viva benissimo anche qui. Abbiamo tutti la nostra identità. Sono uno dei quindicimila. Ho un numero tutto mio e, scusate se è poco, mi dovesse capitare qualcosa, Loro se ne accorgerebbero e provvederebbero. Mangiamo tutti i giorni, stiamo bene in salute e ci sono femmine in abbondanza. Credo di aver pure messo al mondo un migliaio di figli all’incirca, ma in questo non c’è nulla d’insolito visto che sono un pesce e vivo nell’Oceanario di Lisbona, l’acquario più grande d’Europa. E, sapete com’è, la promiscuità, il quieto vivere, l’inattività coatta… Ed ecco, che quando credo di averlo messo a tacere con le mie brave ragioni, lui mi sorride, slargando quel suo musone fesso con una smorfia di compatimento come a dire che il fesso in realtà sono io, e se ne viene con quella sua storia dei profumi e degli odori: “E le alghe? Come la metti con le alghe?”. E poi l’affondo finale: “E che mi dici delle correnti? Quelle belle forti, che ti trascinano e travolgono e senti vigorose attorno a te?”».