RESTI DI POESIA
di CHIARA ORTUSO
GENERE:POESIA
Fremono i versi nel cuore di un poeta.
Ma qualcosa è ancora nel bozzolo –
anela a diventare farfalla.
RECENSIONE
Un vero e proprio viaggio fra i meandri dell’anima in un determinato momento della propria vita, questo è il contenuto della silloge di Chiara Ortuso dal titolo, un po’ riduttivo - a mio parere -, Resti di poesia - Gruppo Albatros Il Filo, pagine 122, anno di pubblicazione 2021. Mi chiedo spesso se, come e quando il poeta si rende conto di essere tale. Comprende da solo di esserlo oppure ha bisogno di qualcuno che glielo faccia notare? Avverte delle emozioni particolari ad un certo punto della sua esistenza o, semplicemente, nasce poeta? Accade che all’improvviso si metta a scrivere componimenti poetici o altri devono spingerlo a farlo? A quanto pare non esiste una regola ben precisa, ma una cosa è certa: Chiara Ortuso è una poetessa e la sua è semplicemente poesia. Una poesia dove «Corposi concetti / di naturale prodigio / si stringono all’erba / che inciampa, morbida, / facendo capolino / da una rotonda pietra / sgualcita sotto ai miei / sguardi. È un’esistenza / transitoria quella che / si fa largo tra falsi / gineprai di un vespro / mai e poi mai scovato», come lei stessa scrive nella poesia Fragili emozioni. Non “resti” dunque, nelle pagine di questo libro, ma pura poesia, espressione di una sensibilità appassionata che ha trovato lo strumento ideale per esprimersi, spinta probabilmente da una improvvisa esigenza di analizzare il suo percorso esistenziale. Aveva dunque visto giusto il critico Teresa Laterza che, come scrive nella sua prefazione all'opera Resti di poesia, «avendo letto alcuni sparuti versi inediti di Chiara Ortuso», l’aveva esortata a cimentarsi con la poesia, cosa che «le avrebbe consentito di sperimentare la scrittura a 360 gradi, di completarsi e arricchirsi di quell’arcana e magica dimensione alla quale solo la poesia può condurre». «…/ Una fanciulla / ornata da un vuoto / che si muove tra balli / di aghi in tempesta», scrive la poetessa nella poesia Origine. Chi è questa fanciulla che si muove con geniale destrezza in un ambiente così pungente e turbolento? È lei stessa, la poesia, il suo libro o - molto probabilmente - tutte queste cose insieme? Si avverte in tutta l’opera l'insofferenza dell'autrice nei confronti della vita reale, il bisogno di uno spazio nuovo, intimo, tutto suo. Lo trova nella poesia o, forse, è quest’ultima che trova lei: «... / Sono una rosa sbocciata / a Primavera su un torrente / del sopraggiunto impeto di vivere» leggiamo nella stupenda composizione poetica intitolata Primavera, quasi alludendo al suo nuovo stato d’animo. Attraverso la poesia ella può riappropriarsi dei sogni, degli entusiasmi, degli affetti più veri, di tutto ciò che le serve per essere se stessa e non un burattino costruito dalle mani sapienti di una società rivelatasi falsa, ipocrita ed egoista. Le delusioni inducono sempre al vagheggiamento di una realtà diversa, ma sappiamo bene che tutto ciò che è “altro” è quasi sempre fonte di dubbio, e contiene “in nuce” il timore di rimanere delusi. Ma la poesia non delude mai, essa sceglie di volta in volta una “nuova voce”, facendola innamorare. Chiara Ortuso affida così ai suoi versi nuove consapevolezze, acquisite nel tentativo di scrollarsi di dosso rimpianti e sofferenze, cosciente che «non sussiste alcuna speranza / a mani che sconvolgono un barile / di soli cocci schiacciati dal vento.», come si legge nella poesia Infranti. Pur consapevole della vanità delle illusioni, l'autrice afferma la necessità, nella nostra esistenza, «di sogni che anelano l'inganno del sì» - (Atopia). Chiara Ortuso si destreggia egregiamente fra similitudini (bellissima quella tra la luce delle lucciole e la vita, che rimanda al tema della “fuga del tempo”, in Ferragosto), personificazioni (in Erranza «la luna singhiozza con / la sollecitudine»), metafore e altre figure retoriche, ma sembra preferire l’ossimoro nel quale, dei due termini, incompatibili fra di loro, uno ha sempre una funzione determinante nei confronti dell'altro, in modo tale da creare un originale contrasto, ottenendo così sorprendenti effetti stilistici; nel caso delle poesie di Chiara Ortuso tale contrasto fa risaltare quasi sempre il lato drammatico delle riflessioni poetiche dell'autrice. La parte finale delle poesie è quasi un “cantuccio” dove la poetessa fa risaltare la vittoria dell’effimero su tutte le cose, facendo seguire al vagheggiamento di situazioni liete, atmosfere tristi dalle tinte a volte forti. È dunque sicuramente una poesia stilisticamente ricercata, dalla terminologia elegante e rarefatta, lontana dal parlato, destinata a un pubblico colto, elitario, ma - paradossalmente - è anche una poesia umile, nel messaggio dell'autrice, che propone dei “resti” di poesia che in realtà sono dei componimenti poetici impetuosi, specchio di emozioni ricche di tensione, racchiuse in una vera e propria “corazza”, quella della ricercatezza. E se per un verso lo stile raffinato, ricco di artifici retorici rappresenta uno scudo, e crea una distanza fra autrice e lettore, per un altro verso esso serve a tutelare quest’ultimo - e forse Chiara Ortuso adopera gli artifici proprio con questo fine, per non invadere troppo lo spazio emotivo di chi, inevitabilmente, si arricchirà leggendola, lasciando libero il lettore di rimanere in superficie o di cercare di comprendere a fondo la sua opera poetica. Un senso di stanchezza esistenziale affiora fra i versi della poesia Strade interrotte: «Avverto una creatura / persa in un deserto / di calmo abbandono». Una sensazione che viene ripresa in Enigma: «Mi scuoto e non rispondo.», e che testimonia la volontà di reagire, subito smorzata dalla ormai radicata consapevolezza dell’inutilità di ogni “ribellione“ in una società che non lascia scampo ai valori della sincerità, dell’onestà e della correttezza. È di una struggente tenerezza il canto dedicato alla terra natia, che l’autrice descrive, nella poesia Calabria, come una «Inesplorata terra / di desolazione e / bellezza che avvampa / lo spirito /... // Violaceo riflesso su / una costa che si / spinge nei rifugi / del vagare. Calabria, / mondo di compianto e / illimitato amore». Mentre in Fatalità la vena lirica della poetessa raggiunge il suo apice: «... Desidero / un cappotto di stelle / per nascondermi / dalle vie trafitte / da un tappeto di spine». E se vogliamo soffermarci sulla dimensione spazio-temporale dell’opera della Ortuso, dobbiamo ancora una volta tenere presente la prefazione di Teresa Laterza, la quale osserva con estrema acutezza che «La poesia della Ortuso non si colloca in un punto definito perché ricca di “mutazioni”, di cambi di rotta repentini, incastonati, di salti nel tempo tra realtà, desideri, visioni oniriche, epochè, poemi epici ed eroi della mitologia greca». È dunque un universo poetico a sé stante, che obbedisce a delle coordinate spaziali e temporali interne all’opera e all’inventiva poetica dell’autrice. Sono certa che i lettori rimarranno affascinati dalla polisemanticità di questi componimenti. La poesia di Chiara Ortuso nasce da moti dell’animo complessi e molto profondi, per diversi aspetti insondabili; la poetessa descrive - spesso in un medesimo componimento - gioie e desideri, come anche delusioni e sofferenze, ma le prime sono coperte da un velo di tristezza, rimangono nel bozzolo, non riescono a diventare farfalla. Tutto questo in Resti di poesia di Chiara Ortuso - Gruppo Albatros Il filo, 2021.
IL LINK DEL LIBRO:
Enza Salpietro