PATRIE INTERIORI di Ana Danca

GENERE: RACCONTO AUTOBIOGRAFICO

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RECENSIONE

«Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo» (Tiziano Terzani).

Patrie interiori (Gilgamesh Edizioni, anno di pubblicazione 2018, pagg. 112) è un racconto autobiografico forte, penetrante – un viaggio storico-culturale – che Ana Danca dedica al padre scomparso. L’autrice ci conduce per mano, sul filo dei suoi ricordi, prima attraverso quelli di lei bambina e poi di lei donna che dalla Romania approda in Italia, a Mantova. Nel titolo è racchiuso il duplice significato del concetto di patria: da una parte quella propriamente geografica, di provenienza, quella delle radici dell’autrice, insomma; dall’altra quella d’approdo che, più che essere identificata come luogo verso il quale la Danca si dirige e si stabilisce, rappresenta quel processo di evoluzione che avviene all’interno del suo essere: un cammino personale di identificazione identitaria, un viaggio interiore.

Il libro, che si apre con la descrizione di una realtà semplice, quella della vita dei campi, dei boschi e della natura con le sue intemperie, diviene più impegnativo nel momento in cui l’autrice narra dell’insediamento del regime comunista e di tutte le conseguenze che tale forma di governo ha portato nella vita della comunità rumena: sofferenza, miseria, povertà, fame, e la soppressione della libertà di espressione, di viaggiare… insomma della dignità umana. Particolarmente toccante è il racconto di quel tesserino che consentiva l’approvvigionamento dei beni, sempre più scarsi, di prima necessità, e della delusione che invadeva lo spirito, e della rabbia che montava quando si rimaneva a mani vuote; rabbia che veniva sedata spesso con azioni violente. Intenso è il passo nel quale l’autrice descrive la strada che percorreva, con il suo piccolo nel passeggino, fino al negozio di alimentari dove si accalcavano le persone con la speranza di riuscire a portare a casa il necessario per sfamarsi.

«Finalmente arriviamo. Mancano venti minuti alle otto ed è già tardi, la fila si scorge già in lontananza. Inizio a chiedere chi è l’ultimo arrivato, dopodiché prendo il mio posto nella colonna ordinata a tre nel lato esterno per averti sott’occhio nella carrozzina. Accanto a me c’è uomo di mezza età, la terza persona una donna anziana che si appoggiava al muro. Le persone davanti a me sono numerose, ma di lì a poco la fila raddoppia, diventa come un serpente che striscia lungo il muro, spingendosi fin nella strada. Al momento il negozio è chiuso, l’orario di apertura è alle dieci. La gente è preoccupata, non si sa se arriva la macchina con la merce, ma attende speranzosa. “È arrivataaaa!” si sente la voce strillante di qualcuno che dà la notizia. Sollevati da questo pensiero attendiamo in silenzio che si apra la porta del negozio. La folla è formata da una moltitudine di persone... Dopo un po’ di tempo nelle prime file inizia a muoversi qualcosa. Allungando il collo dalla postazione in cui mi trovo io non riesco a vedere niente. “Cosa succede là davanti?” domando. “La porta è aperta! Rispondono un mucchio di persone voltandosi verso di me. Il negozio si sviluppa per il lungo, con le vetrate che danno sulla strada e l’ingresso principale che ha prospicienza sulla parte laterale della struttura. Sul vetro sono attaccati numerosi manifesti in carta stampata, raffiguranti il salame a fette o intero. Dentro si trovano due banchi frigoriferi divisi fra loro da un asse in legno che funge da tornello per le commesse al banco. Lo spazio è lungo e stretto. All’improvviso si rompono le righe, il gruppo di persone diventa uno solo. Nella confusione qualcuno mi pesta il piede, lancio un urlo di dolore ma sembra che non importi a nessuno. La gente dietro di me spinge con forza, muovendo l’intera massa di persone davanti a loro, me compresa. Mi ritrovo bloccata sulla soglia d’ingresso con la metà del corpo dentro e l’altra fuori dal negozio. La gente è fuori di sé, non si controlla più, urla, spinge, si strattona, tutti vogliono arrivare per primi al banco. Mentre accade tutto questo, dall’ingresso principale si vedono uscire dalla porta posteriore delle persone ben vestite, in giacca e cravatta, distinte della massa comune, ciascuno con il proprio pacchetto. Alcuni vengono immediatamente riconosciuti, tanto che dalla folla qualcuno grida il loro nome; sono amici degli amici, tutti membri del partito, ma guai a protestare, si rischia la galera. Per questa ragione le persone, intimorite, stanno zitte. Il passeggino è posteggiato davanti alle vetrine. Tu, in silenzio, ammiri i manifesti, lasciandoti accarezzare e coccolare dai passanti per strada. Dalla posizione che occupo ho la possibilità di tenere d’occhio sia te sia il banco frigorifero... Infine sono riuscita a entrare anch’io. Dentro si era in tanti, fitti fitti, tanto che un ago lanciato non sarebbe caduto a terra. Si parlava tutti a voce alta, si litigava per motivi banali, ci si litigava la precedenza. Questo fino a quando una voce perentoria grida che era finito tutto, che non c’era più niente. A quel punto la rabbia monta con una furia indomabile, si diventava violenti. Non si accetta il fatto che le scorte di quel giorno siano finite. Qualcuno comincia a tirare pugni e calci alle celle frigorifere, altri non riescono a esprimersi in alcun modo se non piangendo. Le commesse non sanno cosa dire per giustificarsi, una di loro, probabilmente la responsabile, alza il manico della scopa e inizia a picchiare all’impazzata a destra e a manca, fino a cacciarci dal negozio. Mi ritrovo in strada, picchiata e con i vestiti strappati; calpestata, distrutta moralmente e a mani vuote. Al vedermi, tu, preso da paura e spaventatissimo, sempre più affamato, inizi a piangere. Quando giro il passeggino per andarcene, il tuo pianto diventa ancora più forte; non vuoi staccarti da quella vetrina. In quel momento ho bisogno di più consolazione io di te, così ti prendo in braccio stringendoti forte al mio petto e dicendoti: “Sei troppo piccolo adesso per spiegarti, ma da grande capirai e forse arriverà anche il giorno in cui queste cose non ci saranno più...”. Tutto questo nella speranza di poterci consolare a vicenda. Ma tu non vuoi sentire niente, piangendo disperatamente punti il ditino sulla vetrina e io non riesco a capire cosa vuoi... Decido di rientrare in negozio, ormai completamente vuoto di tutto, supplicando le commesse di darti una fettina di qualsiasi cosa, anche di scarto, ma non ottengo nulla. Dei manifesti simili a quelli affissi nelle vetrine ce n’erano anche appesi ai muri dentro alla struttura. In quel momento ho capito subito cosa indicava il tuo dito e il suo significato: scambiavi la foto del salame sul poster con un salame vero. Vado allora a spiegare questa cosa alla persona addetta alla vendita, sperando di ottenere la desiderata fetta di salame. Le mie preghiere però sono inutili, anzi ottengono l’esatto contrario. La donna, innervosita oltre modo, strappa dalla parete il poster raffigurante il salame e riempie la tua bocca con tanti pezzettini di carta, mentre faceva uscire dalla sua, maledizioni tipo: na maninca pui de drac (mangia figlio del diavolo che non sei altro). Per un secondo perdo la testa, ma poi, trattenendomi e rimanendo calma domando: “Cosa sta facendo, signora?”. Senza ottenere una risposta, ricevo una pioggia di parolacce, una più volgare dell’altra...»

Una narrazione che ci fa riflettere su come tutto possa accadere all’improvviso, come la vita regolare possa essere sconvolta da avvenimenti che mai avremmo pensato di vivere… forse perché episodi così sconvolgenti si pensa possano accadere in altri luoghi, lontano da noi e dalla nostra quotidianità. Il racconto dell’autrice ci riporta a ciò che sta accadendo in questi ultimi tempi difficili in Italia, una Nazione sempre definita democratica e libera che si trova, invece, a dover fare i conti con un potere forte che dimentica la singolarità di ognuno.

Un racconto che fa molto riflettere sulle realtà negative, ma anche su quelle predisposizioni interiori, nei momenti di difficoltà e sofferenza, all’aiuto, alla solidarietà, alla fratellanza, all’importanza di non sentirsi di questa o di quell’altra Terra, di una o dell’altra posizione o ideologia in quanto tutti figli di Dio e cittadini del mondo. Ed è questo il significato più autentico che l’autrice ha voluto intendere con Patrie interiori; perché al di là della nazionalità, della collocazione geografica, ciò che fa di ogni essere umano quello che è sono i valori e l’educazione insegnati e tramandati, come l’ascolto di ogni singolarità, l’accoglienza empatica verso chi è “diverso” e che non va discriminato né temuto perché la diversità quando viene vissuta senza pregiudizi è una fonte importante di arricchimento. E dell’accoglienza del diverso, nella sua biografia, l’autrice parla attraverso il personaggio di Bruno e le sue vicende. Fitte pagine che dimostrano come non solo non bisogna temere la diversità, lo straniero, ma anche come proprio la diversità può rappresentare per chi l’accoglie una opportunità e una via di salvezza. Dal racconto inoltre emerge con chiarezza quanto può risultare difficile essere straniero in un altro Paese, dove nessuno ti conosce, dove non hai più riferimenti e devi ricominciare da capo, come se dovessi nascere una seconda volta. L’originaria identità viene cancellata: si è nessuno nella terra straniera. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: la solidarietà tra stranieri che fa da collante e dona quella forza necessaria per affrontare le difficoltà del Paese di accoglienza. E le difficoltà si superano impegnandosi, abbracciando la cultura e testimoniando, come ha fatto l’autrice attraverso la scrittura che è verità, libertà, autenticità. Ed è proprio un contenuto di autentica vita che l’autrice ci regala attraverso le toccanti pagine di questa autobiografia, dimostrando come il radicamento a quei sani e positivi principi interiori – le patrie interiori appunto – rappresenta quella opportunità di adattamento e di riscatto per la costruzione, ovunque si vada, di una nuova identità fino al punto da avvertirsi dopo anni di insediamento più stranieri nella Terra d’origine che in quella d’approdo. Un’opera cruda nelle descrizioni di diversi avvenimenti ma anche “dannatamente” umana e veritiera come solo la vita può esserlo. Complimenti all’autrice.

Marisa Francavilla

INTERVISTA

Come nasce questa opera?

Quest'opera nasce dalla domanda che spesso mi viene fatta; "Lei da dove viene?" Già, da dove vengo? Qual È la mia terra ? La mia patria? ​ Anche se​ la terra è di tutti, la patria no. Per trovarla ho cominciato un percorso individuale, un viaggio storico - culturale, ritornando al ricordo del bambino per ripristinare il contatto con la parte più pura che è  in me. Un viaggio solo interiore perché la patria in un certo senso si identifica con il patrimonio che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri; cioè la terra, il territorio ma, anche i valori e i contenuti spirituali che compongono la cultura di una data nazione.

​Il concetto di diversità per Ana Danca.

La mia opinione è che la diversità in ogni sua forma rappresenta un'occasione di arricchimento​ aggiungendo valore alla vita della comunità che la abbraccia, fornendo molteplici prospettive sugli interessi comuni, offrendo alle persone la possibilità​ di esprimersi liberamente e di ampliare la propria cultura.​ La società​ ideale sarebbe quella in grado di apprezzare la bellezza della diversità​ altrui e garantire pari diritti, indipendentemente dal sesso, dalla razza, nazionalità, etnia, religione, stato di salute o qualsiasi altro criterio. Dipende da ogni uno di noi che una tale società non rimanga solo un bel sogno. Quindi la diversità per me rappresenta ricchezza e bellezza nel mondo. Non dobbiamo avere paura del prossimo, a volte è proprio lui a salvarci la Vita.

La libertà, intesa come autenticità d'essere attraverso la scrittura per Ana Danca.

Davanti al foglio muto​ non si può mentire - IO mi sento IO, quella vera, libera, senza indossare la maschera, che a volte lo devo fare per fingere​ certe cose, e dire sì​ quando devo dire no, e dire no quando devo dire sì. Ecco perché quando scrivo mi sento a mio agio, sto bene, adopero degli strumenti che mi sono noti e familiari​ e li sento fermi nelle mie mani. Ogni storia assume la bellezza della mia anima.​ La scrittura per me è libertà e vita.

È possibile sentirsi stranieri nel proprio Paese d'origine?

Sì. Quando si lascia il proprio Paese hai la tua identità, appartieni ad una società. Una volta superato la frontiera diventi solo un numero, sei un nessuno. Allora, devi costruirti una nuova identità nella società d'accoglienza. Per fare questo ci vuole tempo, gli anni passano, nel frattempo il paese d'origine cambia, la società​ va avanti non si ferma. E al ritorno ti trovi straniero. Ci si sente a casa sia da un parte che dall'altra, ma nel cuore si vive sempre da straniero. Già,mio mi sento così​ straniera a casa mia.

Ha in cantiere qualche altro lavoro scrittorio?

È uscito da poco il romanzo "La Voce del Silenzio" (Gilgamesh Edizioni) una storia che racconta la vita, e che insegna l'importanza di saper ascoltare la Voce, quella che ti urla dentro​, l'urgenza più cogente che esiste: la necessità di saper vivere la propria vita. ​ È già in lavoro una raccolta di storie, pensieri e citazioni che hanno guidato la mia vita fino ad oggi, uscirà nell'anno prossimo. Attualmente sto scrivendo un romanzo​ dove racconto di com'è difficile vivere tra il passato e il presente. Non so quando sarà pronto perché è abbastanza difficile anche scriverlo.

A proposito del suo libro...

Quest'opera ha come base un principio fondamentale della vita la famiglia​ formata dal Padre, Madre e Figlio, che oggi in "questo nuovo mondo" sono in via di estinzione, rischiano di scomparire. Tanti figli restano senza uno dei genitori anche se sono vivi. Non​ voglio giudicare nessuno ma credo che dobbiamo metterci in viaggio, quello interiore, cercare l'io della nostra patria quando ci troviamo nelle prove severe della vita. Patria ha il significato dei padri ma, la lingua e sempre quella delle madri Cerchiamo dunque di proteggere i nostri figli da ogni pericolo, ogni tempesta e portarli verso una condizione migliore di vita. Ecco, questo è il senso di mio libro "PATRIE INTERIORI"(Gilgamesh Edizioni).

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BIOGRAFIA 

La scrittrice Ana Danca è nata in Romania, a Buruienesti e attualmente vive e lavora a Mantova. Diplomata in meteorologia ad Arad (RO) ha lavorato presso la Stazione Meteorologica di Tulnici, poi come insegnante, supplente, nella scuola media del paese nativo. Ha pubblicato i romanzi "Come Vuole La Vita" (2016) e "Patrie Interiori" (2018). Con quest'ultimo, è stata premiata a Roma dall'Accademia di Romania per il suo progetto "Difendersi con la Cultura (Scrittura)" nel settembre del 2018. Lo stesso romanzo viene premiato con la Menzione di Merito al Concorso Letterario Nazionale "la felicità ritrovata" nel maggio del 2020 dal Comune di Riccione. "La Voce del Silenzio" (2021) rappresenta la conclusione del trittico ispirato ai concetti platonici di Bene, Verità e Bellezza. Nelle sue opere si percepisce la serenità dell'anima; gioia e felicità per aver raggiunto un traguardo, ma anche di chi ha ancora molto da dare. Il suo interesse nella scrittura è orientato con grande sensibilità verso tematiche quali: Il Dialogo, la Spiritualità e Il Silenzio. Dalle luci e dalle ombre nascono parole per dare vita ad un benessere interiore che vuole trasmettere agli altri.

"Ciascuno di noi è ciò che riesce a scrivere nel cuore delle persone."

Una frase di Ana Danca