MARIA ROSARIA PUGLIESE: PAZIENTI SMARRITI

GENERE: NARRAVIVA CONTEMPORANEA

RECENSIONE

«La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattia. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese» Susan Sontag.

Più che in altri tempi, e forse mai come in quelli attuali, i discorsi sulla salute sono molto gettonati. Del resto, la salute è sempre stata uno dei beni più preziosi da tutelare, poiché perderla significherebbe non poter vivere una vita normale, gratificante, piena e serena. L’esperienza della malattia, in particolar modo di quelle definite gravi, è qualcosa che nessuno vorrebbe provare sulla propria pelle né tanto meno, di riflesso, farla provare ai propri cari. Appunto dell’esperienza della malattia ci parla Maria Rosaria Pugliese con il suo interessante libro Pazienti smarriti (pubblicato la prima volta nel 2010 con la Casa editrice Robin Edizioni e successivamente ripubblicato dalla Casa editrice Homo Scrivens nel 2016). Un racconto toccante, crudo, veritiero in cui coraggio, timori, speranza, sconforto e forza d’animo si alternano durante il sentiero della malattia di Ettore, il protagonista, che dovendo combattere un tumore insidioso non viene mai lasciato solo. A raccontare la storia è sua sorella, l'autrice, che insieme ad altre persone importanti della famiglia rappresenta ciò che Ettore definisce “l’Esercito della Salvezza”, un esercito tutto al femminile. Se nelle condizioni di buona salute l’affetto delle persone care è un elemento importante per una vita significativa, esso diventa fondamentale in quelle in cui la malattia priva progressivamente l’individuo della cosiddetta normalità. Anche se molto dipende dal carattere del malato, dalla sua forza, dal suo essere una persona combattiva o meno, il supporto, l’amore, così come l’aiuto effettivo per affrontare la quotidianità risultano di fondamentale importanza; considerando che l’umore gioca un ruolo primario nella gestione della stessa malattia. Avere al proprio fianco persone che si prodigano amorevolmente per alleggerire problemi e difficoltà che il paziente volente o nolente si trova ad affrontare è già metà, se non di più, di una buona cura. La disponibilità e la pazienza dello stesso Ettore, con quel sorriso quasi rassicurante, le premure e le cure amorevoli delle persone care sono un balsamo salvifico per l’anima del protagonista durante il provante percorso. La Pugliese intesse così una intensa storia di unione familiare, arricchita però da descrizioni di eventi storici e sociali, spostando abilmente l’attenzione ora su uno ora sull’altro fatto – attacchi terroristici, terremoti – che hanno caratterizzato gli ultimi tempi. Le frequenti digressioni, poi, così come la particolarità di una narrazione mai troppo appesantita da descrizioni tragiche, nonostante la difficoltà di affrontare le circostanze dovute all’evoluzione della malattia di Ettore, ma alleggerita dai ricordi e dalla spensieratezza della fanciullezza dei protagonisti, rendono il racconto decisamente invitante. Per poter sopportare il dolore di una grave malattia è necessario di tanto in tanto allontanarsi da essa, respirare! E l’autrice ci riesce magistralmente attraverso le “divagazioni” che la voce narrante intermezza, tanto che il lettore ad un certo punto ha l’impressione di trovarsi in altre storie, “leggère”, che hanno il sapore della normalità della vita che scorre con i momenti di svago e socialità, lontane dalla serietà di quella principale e angusta. Una strategia, ma allo stesso tempo una necessità che consente all’anima della scrittrice così come a quella del lettore, di tanto in tanto, di ossigenarsi. Suddiviso in tre parti, il racconto della Pugliese raggiunge l’apice di una realtà particolarmente vivida e provante nella seconda parte, denominata col titolo che l’autrice ha dato al libro: Pazienti smarriti. Il plurale è significativo in quanto non vuole solo riferirsi allo stato d’animo dei tanti malati sofferenti ricoverati e all'episodio in cui i medici avevano smarrito il paziente all'interno della struttura ospedaliera, ma anche alla confusione di chi deve essere un punto di riferimento e sostegno per il malato; considerando che, essendo la famiglia una catena, nel momento in cui accade qualcosa a un anello di quella catena tutti gli altri, di conseguenza, ne risentono. Chi ha purtroppo vissuto una esperienza come malato oncologico, o come parente, conosce bene, in tali circostanze, la sterilità delle comunicazioni della maggior parte dei medici, abituati a informare sul decorso della malattia e sul da farsi; medici che spesso si rivelano poco o per nulla sensibili allo stato psicologico dei pazienti e che sconoscono l'empatia. La famiglia di Ettore (nome non scelto a caso dall'autrice in quanto la similitudine è con il guerriero Ettore di Troia) è così impegnata a lottare contro il tempo e un nemico infimo; nemico che, ogni qual volta si spera che si stia arrestando, ricomincia più ostinato che mai la sua avanzata. Vane sembrano anche le fatiche della scienza. Toccanti sono a tal proposito le parole della scrittrice con la sua analogia a Sisifo nell’Odissea. «Viene in mente Sisifo, condannato da Zeus a spingere su per il pendio di un monte un enorme masso. Appena arrivato alla cima, il macigno rotolava in basso fino alla base del monte e Sisifo doveva nuovamente riportarlo su. Così per l’eternità. Pare proprio fatica di Sisifo quella che la scienza compie nel contrastare il male di Ettore: i dottori intervengono sul corpo malato, tagliano, estirpano, ricuciono, tentano di porre rimedio ai danni già inferti all’organismo eppure, nonostante gli sforzi, a dispetto della loro operosità, ogni volta si ricomincia daccapo, e sempre più svantaggiati.»

Un’opera che fa riflettere sul senso della vita, su ciò che è veramente importante, soffermandosi sull’unione, sulla forza familiare e sulle cure amorevoli piuttosto che su atteggiamenti di sconforto e di abbandono alla disperazione che avrebbero tutto il diritto di manifestarsi in una tale dolorosa realtà. Non è facile trattare un argomento così delicato, illustrando la malattia nelle sue complicazioni più crude, modellando la storia così da far passare una narrazione lucida e dignitosa. L’autrice riesce egregiamente in questa impresa, descrivendo la sofferenza della famiglia di Ettore, che cela il suo malessere per il bene e la serenità dell’ammalato, ma con quella forza, con quella determinazione che solo l’amore è in grado di promanare. Complimenti all’autrice.

Loredana Angela 

NTERVISTA

Come nasce l'idea di questo libro?

Lo spunto per “Pazienti Smarriti” mi fu dato dall’episodio - realmente accaduto - dello smarrimento in ospedale del paziente, che era mio fratello. Mi fu subito chiaro che dovevo scrivere di questo episodio vergognoso e addirittura surreale. Scrissi dapprima un racconto, che titolava “Pazienti Smarriti”. Lo lesse un amico scrittore e mi disse: devi continuare e sviluppare un romanzo. Così feci.

Quanto ancora, secondo lei, c'è da fare per un sano rapporto medico paziente?

Ancora tanto, anche se, alla luce della recente e non ancora sconfitta pandemia, o notato maggiore umanità nel rapporto medico/ammalato.

È giusto, nel caso di malati oncologici, accanirsi con le cure chemioterapiche o ripetuti interventi?

No! Sono assolutamente contraria ad ogni accanimento terapeutico. Dirò di più: sono favorevole all’eutanasia ed ho votato in questo senso al referendum.

Ha in cantiere qualche altro lavoro scrittorio?

Dopo “Pazienti Smarriti” ho pubblicato “Carretera” (raccolta di storie on the road) e il romanzo Fontaine Blanche. Poi ho voluto sperimentare il genere “noir” e ho scritto e pubblicato con Frilli Ediz. due gialli: “Omicidio ad Alta Quota” e “Fuochi d’Artificio per il commissario de Santis”. Attualmente ho un lavoro in progress…

A proposito del suo libro...

Nelle presentazioni di Pazienti Smarriti - che sono state tantissime - ho sempre evidenziato questi aspetti essenziali È un libro di sentimenti, di amore fraterno, in cui la memoria, e personale e del territorio, ha un ruolo fondamentale (ad esempio la descrizione del presepe, del Borgo delle Due Porte dove abitavamo da bambini e successivamente l’evoluzione del quartiere Vomero). Non è un romanzo sulla malasanità, intesa come errore della diagnosi (tutti possono sbagliare!) Per malasanità intendo la mancanza di empatia con l’ammalato, di calore umano, l’irreperibilità dei medici nei fine-settimana, le attese lunghissime per gli interventi (mentre le patologie avanzano), le visite mediche effettuate con la porta aperta, alla faccia della privacy, senza alcun rispetto per l’ammalato sofferente e svestito. Il ruolo delle donne. Mogli, sorelle, madri, figlie che si arruolano volontarie nella milizia d’amore, che io chiamo “l’Esercito della Salvezza”. Storicamente e culturalmente sono le donne ad occuparsi degli ammalati, così come degli anziani, dei bambini, dei più deboli insomma. Gli uomini sono presenti, ovviamente, ma hanno un peso minore. In ospedale, accanto agli ammalati, vedevo essenzialmente donne, quindi madri, mogli, sorelle, figlie, a prendersi cura del loro paziente. Il parallelo tra il protagonista Ettore e l’eroe omerico Ettore di Troia, non è solo questione di omonimia, ma ha un significato più profondo. Entrambi sono “guerrieri”. Il mio paziente, senza elmo né corazza, ha sempre lottato in difesa dei suoi valori: la famiglia, la casa, il lavoro, e poi la battaglia impari contro un nemico invisibile: la malattia. È coraggioso e umano come il principe troiano che resistette per dieci anni all’assedio della sua città nella strenua difesa del suo popolo. Ben diverso dal borioso Achille che combatteva per la gloria. La solitudine del guerriero. È solo Ettore, il principe troiano nello scontro finale sotto le mura di Troia, neppure protetto dagli dei. Ma è solo anche il mio paziente nel suo letto, solo con le angosce, le incertezze, la sensazione di pericolo. La fine li accomuna. Le figure si fondono verso l’epilogo. Forse mi sono un po’ dilungata, ma questi sono, a mio parere i vari piani di lettura e quindi di scrittura del romanzo. 

Il booktrailer del libro:

BIOGRAFIA 

Maria Rosaria Pugliese, vive e lavora a Napoli.

Ha pubblicato il romanzo Pazienti Smarriti (1a ediz. Robin, 2010), (2a ediz. Homo Scrivens, 2016), classificatosi al 3° posto Premio Domenico Rea (2011), finalista al Premio Giovane Holden, al Premio Salvatore Quasimodo, e semifinalista nel concorso What Women Write indetto dalla Mondadori.

Nel 2014 ha pubblicato Carretera. Quattordici storie strada facendo (go-Ware Edizioni).

Con Fontaine Blanche (Homo Scrivens, 2017) è stata finalista, nella sezione inediti, al Premio Bukowski 2016.

Ha partecipato all’antologia La gola (Giulio Perrone Editore, 2008).

È tra gli autori dell’Enciclopedia degli scrittori inesistenti (1a ediz. Boopen Led, 2009) e (2a ediz. Homo Scrivens, 2012).

Con la poesia Scetate Benino, si è classificata al 3° posto nel concorso nazionale “Sinfonia Dialettale”.

Premio Eccellenza Letteratura Nazionale Lecce 2018 Premio Megaris 2019 Con Frilli Ediz.

Ha pubblicato i romanzi gialli Omicidio ad Alta Quota (2020) e Fuochi d’Artificio per il commissario de Santis (2021).