LA COLLINA DISPERSA
DI MARIA LUISA DE CIANCIO
GENERE: POESIA
RECENSIONE
Esiste un luogo ideale per ognuno di noi dove vorremmo che il tutto si fermasse, in quelle intercapedini del tempo che ristorano, restituendo all’anima leggerezza e solarità. Ma ogni tempo ha il suo tempo, e la realtà in continuo divenire ci mostra l’illusione di poter ancora stazionare in quei luoghi. Abbiamo, però, i ricordi. Ma a volte anche i ricordi non sono poi così clementi come si vorrebbe, poiché spesso nell’intimo della propria anima si agitano incompiutezze, sensazioni di qualcosa di non realizzato. È quel senso dell’attesa che, se da un lato è colorato di speranza per un qualcosa che ritorni, dall’altro spinge a maturare, a prendere consapevolezza che arrivati ad un certo punto bisogna avere il coraggio di lasciare dietro luci e ombre del passato per spiegare le ali verso nuovi cieli, assaporando il presente e prospettandosi verso il futuro. Ed è proprio un delicato cammino interiore che l’autrice Maria Luisa De Ciancio intraprende nella sua opera poetica La collina dispersa (Booksprint edizioni, anno di pubblicazione 2020, pagg. 104), dove la collina rappresenta il luogo dell’infanzia in cui tutto ha avuto origine e da dove tutto può ricominciare. Le poesie della raccolta sono un lento, pacato, sofferto ma desiderato processo di metamorfosi, come un bruco che da crisalide si prepara lentamente a divenire farfalla, temendo di non avere ancora ali che consentano di volare via come emerge nei seguenti versi: «Un canto d’amore recitato / dagli occhi piegati, / su queste alture che sono vertigini / ormai. / E queste ali che non ho, / come un tormento. / Resto qui, / in questo spazio finito di giorni». Nessun processo di evoluzione è semplice, perché per prendere coscienza di chi siamo è necessario ripercorrere e accettare il passato, a tratti piacevole, altre volte scomodo. Tuttavia si tratta di un percorso necessario, dolente per alcuni versi ma catartico, che consentirà di accettare la realtà, venendo a patti con essa, cercando compromessi, mediando, e magari scoprendo con sorpresa che è meno crudele di come la si era immaginata. Per quei poeti, come la De Ciancio, caratterizzati da una notevole sensibilità, il percorso evolutivo può rappresentare un impegno gravoso poiché, se da una parte ci si vuole liberare dal fardello del passato, dall’altra lo stesso fardello rappresenta il conosciuto, l’abitudine, quella zona protettiva di comfort che si ha timore di abbandonare. Ma in ogni poesia, in ogni verso dell’autrice – spesso camuffato dall’inquietudine – emerge la volontà e il coraggio del cambiamento. Il timore di una realtà da affrontare è più che mai evidente nella prima poesia della raccolta, Infiniti minimi, che, per certi versi, è l’emblema di tutta la silloge. E come se l’autrice in bilico tra due dimensioni, quella ideale e quella reale, avvertisse un senso di vertigine ma contemporaneamente quella sete d’aria che è voglia di vivere, di liberarsi dal passato, dalla sé stessa di ieri e dalle sue ombre: «Settembre lungo gli aridi sentieri / e secche foglie anzitempo a ricordare l’inferno. / E l’inferno è lì, dietro le inferriate aggrovigliate, / negli esili steli pronti a fiorire protesi verso la luce. / Settembre negli occhi e sarà il freddo a breve a ferirti / nelle scoscese valli di nebbie a perdersi. / E trascineremo l’anima verso il sole ma le mani gelate / in un gesto perduto, per primavere lontane, saranno. / Settembre nei miei occhi ciechi è il dolore del tempo». Settembre è identificato dall’autrice come il mese del cambiamento che porta con sé timore per ciò che sarà, per quello che ancora non conosce, e se lei si sente ancora solo esile stelo pronto a fiorire proteso verso la luce, la sua anima è pronta oramai per una nuova primavera pur col rischio di dover affrontare il gelo (le sofferenze) dei mesi invernali. Anche se nei versi dell’autrice emerge una profonda inquietudine e la necessità di trovare risposte a quelle domande pressanti dell’anima che le danno il tormento, ella riesce a trovare conforto nella sua solitudine, nel silenzioso migrare della sua anima: «Il tuo silenzioso migrare, / o mia anima, / attraverso anime / è il privilegio di una vita sospesa. / Un equilibrio di alture senza sole, / dove l’azzurro toglie il respiro, / ed è sempre sera». Ed è nello stesso silenzio che l’autrice riesce in qualche modo a superare i propri limiti, a guardare oltre pur con il vuoto sotto i piedi e il timore di precipitare: «E nel silenzio / sai di un infinito scampato, / di un inferno che fa tremare il cuore, / e non temi più. / E sai che la tua casa non è più / ed è in ogni sguardo che precipita». Così, grazie al silenzio che le consente di leggersi dentro, le sofferenze, le ombre, le aspettative mancate non saranno più motivo di resa bensì di una necessità di divenire qualcosa d’altro chiudendo definitivamente con il passato, congedandosi da quell’infanzia dell’anima che ormai ha fatto il suo tempo. Un linguaggio d’impatto, penetrante, quello della poetessa, col quale riesce a comunicare con immediatezza il suo sentire, i palpiti del cuore, quell’inquietudine che accompagna tutti i suoi versi continuamente tesa alla speranza di un approdo più confortante. Il lessico è semplice, la costruzione della frase essenziale, sì da renderla vivida e tagliente. La semplicità del lessico tuttavia non è sinonimo di superficialità di senso, al contrario dimostra la destrezza da parte dell’autrice di racchiudere in pochi versi, l’essenziale. Anche se gli schemi “metrici” sono quelli della prosa, i versi mantengono la musicalità tipica della poesia. Più che analizzarla la poesia della De Ciancio, in particolare, va sentita perché come ha scritto Nicholas Sparks: «La poesia non è stata scritta per essere analizzata. Deve ispirarci al di là della ragione, deve commuoverci al di là della comprensione».
Anna Biagi
INTERVISTA
Come nasce l'idea di questa silloge?
Per raccontare un viaggio nell’anima, nei sentieri violentati dal tempo alla ricerca di un aprrodo. Un viaggio sospeso di anime disperse attraverso immagini di un tempo vivido di una memori che va a perdersi. Si concretizzano in essa visioni di spazi perduti ove difendere la bellezza dal fluire di un tempo inutile, assassino. Le parole sono scarne, intense e si rincorrono nelle anafore e nelle allitterazioni, per sopravvivere, prendere forma, vincere lo spazio vuoto, la solitudine. Dall’ultimo ritorno a me stessa, dalla necessità di andar via dalla collina dispersa che un tempo era luce ed ora è morte. Dall’ultimo tentativo di ritrovare le città perdute o mai costruite.
Cosa significa scrivere poesie per Maria Luisa De Ciancio?
Cercare attraverso i vissuti soggettivi il senso del divenire del tempo e preservarlo dalla barbarie umana. La poesia è pensiero puro, mai tentare di spiegarla. Poesia e catarsi: il suo parere a riguardo. La poesia è catarsi nel momento in cui realizza un percorso di resistenza nei confronti del non senso del pensiero comune.
A proposito della sua silloge...
Invito i lettori a cercare in essa il tentativo di resistere al divenire disumano del tempo creato dagli uomini e di comprendere, di questo viaggio nell’anima , il disperato bisogno di salvare la bellezza dell’esistere.
Ha in cantiere qualche altro lavoro letterario?
Si, sto scrivendo dei racconti brevi sull’assenza dell’uomo dalla vita ed un romanzo .
BIOGRAFIA
Maria Luisa de Ciancio, nata a Torano Castello, è docente di lettere presso l’IIS PizziniPisani di Paola , CS. Ha pubblicato le raccolte poetiche Le città perdute, In un angolo, Dietro il cielo.