RECENSIONI

Lᴀ Vᴏᴄᴇ ᴅᴇʟ Rᴇᴄᴇɴsᴏʀᴇ

SCRITTURA VIVA

IL CONFINE SOTTILE

di CAMILLA IACOMACCI

GENERE: AUTOBIOGRAFIA (COMPONIMENTI POETICI)

RECENSIONE

Cosa s’intende con il termine normalità? Esiste una linea di demarcazione netta che consente di stabilire ciò che è normale da ciò che non lo è? E quando un comportamento può essere definito patologico? Il termine di normalità non è così scontato o banale come si potrebbe pensare. Ogni parola racchiude un significato che a essa viene attribuito. Qualcuno un giorno ha definito tavolo quel piano sorretto da quattro gambe, e piatto quel contenitore per servire le pietanze; ma se qualcuno avesse deciso di chiamare piatto il tavolo, e tutti si fossero adeguati, l’idea del suo uso non sarebbe mutata. Ho fatto l’esempio di due oggetti. La cosa è leggermente diversa nel caso della parola normalità, proprio per la complessità dell’attribuzione del significato. Nessuno direbbe che un piatto sia in verità un tavolo, ma più di qualcuno asseriebbe che una persona che parla da sola non è tanto normale. In questo affascinante spazio situato al centro tra la sanità e la non sanità mentale si colloca l’interessante e significativa opera Il confine sottile (Albatros edizioni, anno di pubblicazione 2020, pagg. 78) di Camilla Iacomacci. L’autrice ha con coraggio voluto raccontare la sua esperienza, il suo percorso non affatto facile che l’ha portata a essere la persona completa che è oggi; non solo grazie al sostegno di un professionista, ma anche grazie all’aiuto catartico della scrittura. Non avrei potuto utilizzare termine migliore per definirla; la completezza ha in sé, infatti, tanti ingredienti e sfaccettature: è, in sostanza, poliedrica. La complessità è qualcosa che affascina perché mai scontata o banale, come invece potrebbe essere quella tanto osannata normalità. A scapito di cosa, poi? Dell’emotività, o meglio dell’emozionalità e della spontaneità o istintività? Sentimenti ed emozioni si rincorrono in quest’opera davvero singolare. Un lavoro che l’autrice ha fatto su sé stessa per convogliare in quello spazio di mezzo aspetti e caratteristiche di quella realtà che nell’oggettività della stessa è la normalità, e aspetti di quella emozionalità soggettiva e di quei sentimenti che, invece, caratterizzano l’autrice nella sua diversità. Concetto, quello di diversità, che richiede anch’esso una specificazione: particolarità. Qualcosa non da temere, ma che arricchisce in quanto appunto non usuale. Non è semplice sentirsi dire di essere affetti da un disturbo psichiatrico. L’autrice, con franchezza e spontaneità, si abbandona alla scrittura ripercorrendo gli stati d’animo che l’hanno vista interrogarsi, riflettere e rispondersi; e dove tali risposte non hanno mai una connotazione di verità assolute o presunte, piuttosto di un costante movimento dell’animo, di una continua ricerca tra le imperfezioni di una vita che non può essere mai garante di nulla se non della sua imprevedibilità. In ambito psicologico di passi avanti ne sono stati fatti in merito alla presunta normalità. Gordon Allport la definiva come quella capacità di un individuo di saper pianificare la propria esistenza procedendo con determinazione e sicurezza in una precisa direzione. Fortunatamente la psicologia non si accontenta di cose semplici; e come ci insegnano le teorie junghiane l’inconscio non manca mai di esercitare la propria influenza sulla coscienza, mettendo appunto in evidenza l’incongruenza di quel cieco ottimismo della realtà della vita il cui iter invece è sempre imprevedibile. Lascia molto pensare, inoltre, la riflessione di Aldo Carotenuto con il concetto di Daimon che sottolinea come a guidare la nostra vita possano essere fattori molto più interessanti della ricerca della mera normalità. Seguendo l’influenza del pensiero di Hillman James, pensiero reso esplicito nel prezioso e interessante testo Il codice dell’Anima, Carotenuto afferma che è proprio il Daimon interiore, ovvero quella spinta innata presente dalla nascita, a condurre l’individuo su una determinata strada nel perseguimento degli scopi; e tale strada non di rado è diversa da quella che si era programmato di percorrere, spinti dal desiderio di “normalità”. Ecco che in tal senso la normalità perde la sua connotazione positiva, poiché più che uno stato di maturità, denoterebbe un atteggiamento acritico nei confronti di sé stessi; acriticità che conduce inevitabilmente a uno stato di aridità, tipico di chi ha perduto il contatto con il proprio inconscio. La psicologia non è mai sazia di osservazioni e ricerche. Soprattutto pone al centro dell’attenzione i bisogni dell’anima che sono sempre soggettivi, individuali. Un eccesso di normalità rischierebbe di cristallizzare l’anima. La normalità segue ciò che è razionale; la “diversità”, la dimensione psico-spirituale che può essere così forte ed estesa all’interno del soggetto da permettergli di sentirsi in contatto con altre coscienze: «Mi sentivo al centro di tutto, ogni mio gesto, movimento, scelta… regolava una reazione che assumeva un significato che dava conferma al pensiero precedente. Come quando mi sento fragile e confusa e cerco una risposta nei gesti dei passanti. Chi sorride, chi distoglie lo sguardo, chi a volte si tocca il naso… come per smentire uno stupido pensiero. È come se loro mi sentissero e le loro azioni fossero frutto di un messaggio celato da una coscienza più grande di quella individuale. È il complesso meccanicismo dell’universo che riesco a percepire, anche se ormai sono scettica. Lo allontano ma tanto lui ritorna. Chissà se un giorno l’amore, anche solo se corrisposto attraverso un pensiero silenzioso e invisibile, sarà considerato davvero un rapporto, una connessione. Forse un giorno quello sarà l’amore più puro e primordiale. Forse non moriremo più senza non avere conosciuto un’anima importante. Dovrebbe essere un mantra. È per questo che oggi mi sentivo triste». Oppure sentirsi connessi al tutto: «Il problema è che non mi sento di appartenere ad una sola realtà. Mi sento di appartenere anche a quella dove non si usano le parole per parlare. Al massimo i numeri. O i versi degli animali. Il vento. Mi sento di appartenere a quel mondo dove tutto è connesso e tutto avviene simultaneamente nella testa di tutti».

L’autrice ha imparato sulla sua pelle l’importanza di rimanere in equilibrio tra “l’anestesia” emozionale che richiede il principio della realtà e l'influsso energetico della ispirazione e illuminazione che la caratterizza nella sua diversità.

«Sarà vera questa teoria? Questa mia razionalizzazione mentale che il pensiero che si crea, si trasforma in energia, che modifica il pensiero delle persone, che modifica il comportamento inconscio... sarà davvero questa una malattia? Allora se è per andare davvero a fondo a questo apparente costruito, auguro un po’ di malattia. Una paradossale realtà non più obbiettiva ma percepita».

Sulla base delle riflessioni estemporanee dell’autrice e dell’importanza di quella tanta parte non ancora conosciuta della mente umana, al fine di tutelare la spontaneità, l’autenticità e la singolarità di ognuno, auguro anch’io a tutti un po’ di sana malattia. Un’opera coraggiosa in grado di scardinare e ammettere le infinite sfumature tra le presunte certezze e gli indispensabili dubbi in riferimento alla mente umana che rimane pur sempre il più bel mistero dell’esistere.

Teresa Laterza

INTERVISTA

Cosa significa scrivere per Camilla Iacomacci?

Scrivere significa poter esprimere quello che non riesco a fare a voce. Significa poter razionalizzare le mie percezioni e renderle comunicabili. Significa poter essere me stessa.

Perché parlare di diversità richiede coraggio?

Mettersi in gioco richiede sempre coraggio perché significa esporsi, metterci la faccia. Può far paura rendere visibili le proprie fragilità agli altri ma è un lavoro che prima o poi ripaga. Inoltre, poter dare voce al “diverso” significa anche normalizzarlo e poterlo far entrare nella coscienza comune. È un processo evolutivo.

Creatività e disturbi della personalità.

Il mio disturbo per quanto sia stato difficile accettarlo ed affrontarlo mi ha permesso di concepire una nuova visione della vita e della realtà. Poter toccare il cielo con la mente, è eccitante ma pericoloso. Prima o poi cadi, e così è stato. Sentirsi vicini alle verità della vita è destabilizzante; ma quando, tornata da questo viaggio, riacquisti consapevolezza dell’accaduto forse hai una marcia in più o comunque un bagaglio esperienziale che ti permette di vivere la vita in maniera più profonda. Sicuramente c’è una connessione importante tra psicosi e creatività: durante i miei periodi di crisi ho concepito teorie che tutt’oggi ritengo valide e reali.

Qual è il messaggio più significativo che ha voluto trasmettere con la sua opera?

Il messaggio più importante è l’aver voluto condividere il mio percorso di riacquisizione di consapevolezza, data attraverso la scrittura, che mi ha riportata all’equilibrio. Con le cure, le persone giuste, e un po' di pazienza si possono affrontare anche le malattie che fanno più paura e di cui, solo ultimamente, se ne sta parlando un po' di più.

Scriva ciò che ritiene importante in riferimento a questa sua opera letteraria.

“Il confine sottile” è recentemente risultato vincitore del premio tematica del concorso internazionale di poesia “Lord Byron”. L’opera è stata particolarmente apprezzata e spinta al riconoscimento dal famoso scrittore, attore e regista Alessandro Quasimodo, figlio del celebre premio Nobel, Salvatore.

Ha in cantiere qualche altra pubblicazione?

Ho da poco firmato un nuovo contratto editoriale con la casa editrice Dantebus per partecipare ad una raccolta di poesie con altri sette poeti contemporanei. Queste poesie saranno il prosieguo del percorso personale intrapreso nel libro. Cerco di rielaborare infatti le mie percezioni, talvolta compromesse dalla mia condizione, per arrivare ad una consapevolezza più lucida e veritiera di me stessa. 

Gli indirizzi link  

Link aquisto libro:

https://www.amazon.it/confine-sottile-Camilla-Iacomacci/dp/8830629928/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=

Contatto social:

https://www.instagram.com/cami_iacomacci/ 

​Intervista a VoxLibri:

https://www.youtube.com/watch?v=c8bQ4X94VAQ

L'AUTRICE SI RACCONTA 

Mi chiamo Camilla Iacomacci ho 25 anni e vivo a Roma, all’Olgiata. Ho vissuto la mia infanzia presso il quartiere Trieste Salario. Dove ho frequentato elementari e medie. Ho studiato presso il liceo linguistico Lucrezio Caro e ricordo quegli anni con grande gioia e nostalgia. Caratterizzati, i primi dalla passione per il basket, sport che ho praticato per otto anni anche a livello agonistico, e i successivi da numerosi viaggi e amicizie che porto ancora con me. Negli anni tra le medie e il liceo ho avuto anche modo di imparare a suonare la chitarra. Dopo il diploma sono mi sono trasferita in Costa Azzurra, a Nizza dove ho migliorato il mio livello di lingua francese al fine di ottenere un attestato che mi permettesse l’accesso all’università. L’anno dopo nel settembre del 2014 ho iniziato i miei studi di medicina presso l’Università di medicina di Marsiglia dove ho proseguito per un anno fino a che, per motivi importanti di salute, sono rientrata forzatamente in Italia. Qui con grande difficoltà mi sono curata e ristabilizzata. Nel gennaio 2020 ho iniziato il Servizio Civile. Il mio compito è stato quello di assistere ed aiutare cognitivamente gli anziani fragili. La grande forza di rielaborazione che mi ha dato la scrittura mi porta ad oggi ad aver pubblicato un libro, già vincitore del premio tematica del concorso internazionale di poesia “Lord Byron”, ed a lavorare per una seconda pubblicazione con la casa editrice Dantebus. Parallelamente mi sto formando come operatrice sanitaria per la terza età in modo tale da proseguire e rimanere coerente sia al percorso intrapreso in Francia che qui a Roma con il Servizio Civile.