ROBERTA TANTILLO: DIFFERENZE INVENTARIALI
GENERE: POESIA
RECENSIONE
«È meglio aver amato e perso che non aver amato mai» Alfred Tennyson.
Un po’ tutti gli scrittori hanno provato a raccontare l’amore. Sicuramente è uno dei sentimenti più difficili da spiegare, forse perché in realtà non esiste una definizione univoca di “amore”. Ognuno lo vive diversamente, cucendoselo addosso sulla pelle centimetro per centimetro. Questo accade in particolar modo ai poeti, riflessivi e sensibili per eccesso, capaci di “fotografare” ogni minimo sussulto, di scavare nelle pieghe più riposte della propria anima. L’amore non è mai “orfano”: esso si colloca in una precisa dimensione spazio-temporale soggettiva, e quindi più che avere un nome e un cognome ha fragranze, sapori, sensazioni, situazioni che la mente attenua o amplifica, giustifica o condanna. Può essere un rimpianto, una manciata di dubbi irrisolti o una “semplice” constatazione di un qualcosa di travolgente, che è ancora lì, fermo, pulsante, tra le quattro pareti di casa in una foto incorniciata, in un indumento abbandonato, in quei vetri appannati che si affacciano sulla strada mentre si attende, oppure, ancora, in un fiore donato prima di andar via, in un libro, in un braccialetto o in un tazza da caffè, mentre il tempo è già avanti, oltre... lontano da quel passato che è sempre così vivo nel ricordo. E sono proprio vividi i ricordi dei quali ci narra Roberta Tantillo nella sua silloge Differenze inventariali (Apollo Edizioni, anno di pubblicazione 2019, pagg. 98). L’autrice ci accompagna per mano, in punta di piedi, mostrandoci il suo habitat, quello dei suoi sentimenti che benché abbiano dei riferimenti delimitati, fisici, sono pura evocazione, “evanescenza”, rimembranze che continuano ad accompagnare i suoi giorni come amici fedeli, tanto che la stessa assenza della persona amata diviene per l’autrice quasi più forte della sua presenza. Così la poetessa costruisce quel posto incontaminato tutto suo, dove può ancora incontrare il suo amato, dove non vi sono nè logica, né regole, né senso se non quello dello stesso amore con la sua “incompiutezza”, mistero di qualcosa che sfugge a ogni tentativo di controllo:
«Esiste un posto né lontano né vicino / un posto quieto dove il vento soffia poco / giusto per gonfiare le tende di una stanza / e l’ombra scivola con passi di velluto / tra la notte e il giorno. / Esiste un posto dove l’orologio non batte l’ora / perché non ha importanza sapere se sia / il tempo di chi lavora o di chi riposa. / Esiste un posto col mare attorno / la sabbia bianca è un tappeto soffice / per chi si ama e non si stanca di passeggiare senza pensare. / Esiste un posto ma non so dove / si passa il tempo a far l’amore / e il tempo scorre ma non fa male, / non cambia il gioco del tuo sorriso / non scappa il giorno all’improvviso. / Esiste un posto che non conosco / è in fondo a un viale che non finisce / l’ho visto ieri dentro i tuoi occhi / mentre mi tenevi le mani / e senza parlare mi osservavi / come si osserva la luna di notte / come si aspetta il principio del giorno / quando la luce ci sorprende vicini, / stretti e abbracciati tra l’inizio e la fine / nell’attimo perso tra il dopo e l’adesso / ho trovato quel posto dove tu esisti, / ed io qui aspetto».
Ma se da una parte i ricordi mantengono in vita quell’amore che è cibo irrinunciabile, essenza e balsamo per l’anima, dall’altra sono quella presa di coscienza della necessità di ritornare alla realtà, ad amarsi in primis, perché fuori da quella “porta” dell’autrice c’è la moltitudine, la vita che l’aspetta:
«Devo mettermi a dieta. / A dieta di te. / Basta cibarmi di foto, video, parole / scritte per te. / Basta. / Devo ridurre il desiderio, / dimezzare la ricerca, / cancellare l’attesa. / Tornare a regime. / Rientrare nei vecchi panni stretti / della consuetudine. / Fare pace col mio insopportabile estro / e riaprire le porte alla moltitudine / di cose a caso che mi aspettano».
Lo stile della poetessa è semplice ma per nulla banale. I versi, liberi da pesanti sovrastrutture metriche, si rincorrono con andamento cadenzato sì da presentarsi al lettore come armoniosa melodia – addolcita dall’uso aggraziato della rima, mai invadente e sempre ben strutturata – in cui ogni verso lentamente si concede al successivo, anche se in alcuni periodi conclusivi delle sue composizioni la frase si fa frammentata, non certo per accentuarne l’interruzione bensì per rendere più vivida e d’impatto la riflessione del momento; quasi una danza che l’autrice ha saputo ricamare con le emozioni. Una silloge che prende vita, passo dopo passo come un mosaico di sensazioni e riflessioni incalzanti, mai domata, mai remissiva, che si presenta al lettore come una successione di flashback, ricordi incastonati nella memoria che ogni giorno concedono all’autrice nuovi modi e nuovi occhi per far pace con quella realtà al contempo temuta e poi finalmente accolta fino alla “resa”; realtà che prende forma in quella volontà che le consente di riemergere dalla sofferenza, considerando che anche quest’ultima possiede quel retrogusto dolce-amaro della libertà.
In fondo cosa è la poesia se non quell’estro che rivendica il nostro essere in divenire e che scalpita per la libertà? Libertà d’essere autentici, d’essere sé stessi, libertà che ha il sapore della felicità che possiamo ritrovare nelle cose più semplici, anche nella difficile accettazione d’una storia d’amore conclusa:
«Dove sta di casa la felicità? / Nelle mattine senza sveglia, / nei viaggi in auto senza meta, / nei pomeriggi sul divano, / nelle mattine fredde in riva al mare in tempesta, / nell’impasto della torta, / dentro le pagine di un libro, / nell’attesa della festa, / nelle parole astruse di un bimbo, / negli occhi tuoi / che più non rivedrò».
Un’intensa raccolta di poesie che una volta iniziata non si vorrebbe più terminare.
Alessandra Ferraro
Teresa Laterza
INTERVISTA
Come mai ha dato il titolo "Differenze inventariali" alla sua silloge?
Questo titolo è nato molti anni prima della pubblicazione della silloge e deriva da un parallelismo fatto tra una parte del mio lavoro, che prevedeva frequenti inventari, e l’amore in senso lato. In entrambe le situazioni, ho pensato che ci fossero delle “differenze”, degli ammanchi inspiegabili.
Decisamente una silloge fuori dal comune pur trattando di un argomento comune: l'amore. I suoi componimenti poetici di questa silloge sono in gran parte ispirati dalla fine di una storia. Quanto scrivere versi le è stato d'aiuto?
I miei componimenti non sono ispirati necessariamente alla fine di una storia. C’è qualcosa di autobiografico ma molto è dettato dalla suggestione di eventi estranei; a volte anche solo uno stralcio di discorso sentito in tram, mi ha portato a scrivere una poesia. Scrivere mi ha aiutato, soprattutto in gioventù, a capire chi ero e cosa volevo.
Se volesse riassumere la sua silloge usando solo tre aggettivi, quali sarebbero?
Tre aggettivi? Spontanea, sincera, a tratti ingenua.
Ha in cantiere qualche altro lavoro poetico?
A breve pubblicherò il mio terzo libro contenente circa novanta poesie dal titolo provvisorio di Moti inVersi.
Link dell'autrice:
https://www.facebook.com/larobypoetica2/
BIOGRAFIA
Roberta Tantillo nasce a Venezia cinquantaquattro anni fa. Dopo pochissimi anni la famiglia si trasferisce a Milano ma il cordone ombelicale con Venezia non sarà mai tranciato. Roberta inizia a scrivere da bambina e solo nel 2017 si convince a pubblicare la sua prima raccolta dal titolo Pensierando, a cui seguirà nel 2019 Differenze Inventariali. A breve sarà pubblicata la terza, dal titolo Moti inVersi.