SABINA MORETTI: IL TEMPO DEL TAMBURO
GENERE: ROMANZO DI FORMAZIONE
RECENSIONE
“Che cosa sono i nostri eruditi se non i discendenti delle streghe e degli eremiti che un tempo si ritiravano nelle caverne e nei boschi a distillare erbe e ad annotare il linguaggio delle stelle?”
Virginia Woolf
Il tempo del tamburo (libro pubblicato dalla stessa autrice nel 2021) è il delizioso romanzo di formazione che ci propone Sabina Moretti. Un racconto ambientato nella preistoria, e precisamente all’epoca neolitica quando l’essere umano era organizzato in piccole tribù e conosceva solo la pietra e il legno. Protagonista della vicenda è Hay. Indubbiamente la Moretti ha fatto grande uso della fantasia per poter descrivere così dettagliatamente eventi e situazioni particolari nel racconto, considerando che non si hanno informazioni su quel periodo ma solo ipotesi. Se la fantasia è una qualità che di certo abbonda nell’autrice, un racconto così “verosimile” ha di certo alle base la curiosità per periodi così lontani dai nostri, e alle spalle ricerche e studi in riferimento al mondo archeologico e antropologico, a riti, miti e tradizioni dell’antichità anche se, appunto, il racconto dell’autrice si svolge ancor prima di essi, quando la vita delle popolazioni era semplicemente limitata alla caccia e alla raccolta dei frutti della terra. Benché il racconto sia ambientato in una realtà tanto lontana e diversa dalla nostra, la protagonista incarna quella sensibilità, uno spirito di curiosità, un desiderio di sapere, di evolversi, di crescere, che ha sempre contraddistinto, fino ai nostri giorni, soprattutto il genere femminile. Hay è una bambina molto ricettiva e sensibile, ed è in connessione con l’ambiente che la circonda. Sembra quasi avere dei poteri particolari che le permettono di sentire e comunicare con la natura. Hay, ancora piccola e indifesa, seppur già all’inizio della narrazione viene descritta dall’autrice con un carattere ben determinato, sarà educata da Gnu, uno sciamano che fino al suo ultimo respiro rimarrà al fianco di lei. Nonostante lo sciamano abbia più esperienze e conoscenze della piccola protagonista, sarà anche lui ad apprendere, a maturare, a cambiare grazie alla relazione che si instaura con Hay; una relazione sì tra maestro e discente, ma che si evolverà e trasformerà col tempo. Come infatti accade in qualsiasi relazione tra educatore ed educando, a seconda della persona che si ha di fronte, il modo di esperire di entrambi si modifica, consentendo nuove comprensioni e giungendo a più elevate consapevolezze.
Una storia avvincente e convincente che permette al lettore di immaginare con facilità ambienti e situazioni che la scrittrice riesce a disegnare con grande naturalezza e spontaneità. Soprattutto alcune scene sono descritte in modo vivido e incisivo, come la maturazione di Hay nel momento del menarca, gli accoppiamenti, le diverse gravidanze, o meglio parti, che dovrà affrontare, così come quelle scene cruente di scontri e quelle relative alla morte di personaggi ai quali Hay è particolarmente legata, e nelle quali il lettore ha l’impressione di assistere in prima persona.
La scrittura è corretta, armoniosa e la lettura risulta piacevole e scorrevole. La strategia di scrivere il racconto in prima persona facendo parlare l’attore protagonista di turno – e nella storia ve ne sono diversi – è sicuramente vincente, in quanto consente al lettore di meglio immedesimarsi nei pensieri e sentimenti dei vari personaggi. Hay potrebbe essere la versione moderna di una delle tante figure di donne di rilievo che hanno contribuito a segnare un passo importante nella storia dell'emancipazione femminile. Considerando che le donne hanno sempre avuto un ruolo centrale nell’educazione della prole e nelle relazioni e conseguenze che da esse derivano approcciandosi al mondo esterno, la protagonista descritta dalla Moretti sicuramente incarna le vesti di una “rivoluzionaria” in un mondo che ancora ai nostri tempi è soprattutto improntato sull’autorità maschile. Un racconto non solo interessante per la storia narrata, ma anche perché fa riflettere su quanto la determinazione e la forza di una donna possano contribuire al cambiamento e al miglioramento di una società. In verità, pur avendo come protagonista principale un personaggio femminile, è interessante notare come già all’epoca potessero esistere uomini disancorati dai rigidi ruoli che la società imponeva, e ancora “impone”, affinché venissero definiti tali.
Leggendo questo libro mi è venuto in mente, per certi versi, il famoso racconto di Hermann Hesse, Siddharta, inteso come viaggio, cammino alla ricerca di sé stessi, di una sempre maggiore consapevolezza; ma in questo caso, non propriamente ed esclusivamente spirituale.
Un romanzo decisamente suggestivo, che consiglio.
Alessandra Ferraro
INTERVISTA
Come nasce l'idea di questa opera?
È nata mentre leggevo saggi di antropologia, argomento che mi appassiona. In quel periodo credo di aver letto quattro o cinque saggi su differenti argomenti antropologici, era troppo tempo che non ne leggevo più e mi mancavano. Mentre mi aggiornavo è nato un piccolo desiderio: indagare la vita delle donne in epoca preistorica. Allora ho iniziato a ipotizzare un luogo per un possibile racconto e mentre affrontavo un nuovo saggio ho letto della scoperta del sito di Göbekli Tepe. È stato un vero colpo di fulmine. L’archeologia è per me un altro luogo di grande attrazione e ho subito acquistato il diario dell’archeologo che lo ha scoperto e l’ho studiato affiancando le analisi antropologiche nate da quella scoperta. Così ho incontrato i miei personaggi e la loro storia.
Cosa ha significato scrivere questo libro?
La ringrazio per la domanda. Scrivere questo libro ha significato spogliarmi del mondo che conosco e immergermi in un passato remoto e in apparenza sconosciuto. In realtà l’antropologia e l’archeologia ci narrano tantissimo, così come i miti e la storia antica. Ma si deve leggere tra le righe della storia. Questo è quello che ho cercato di fare e per farlo ho dovuto ‘rileggere’ la narrazione storica che ho imparato sui banchi di scuola. Altro aspetto importante è stato calarmi nella vita materiale di ogni giorno con un’ottica femminile. I miei personaggi mangiano, dormono, fanno i loro bisogni, hanno le mestruazioni, partoriscono e allattano. E questi non sono eventi secondari, sono la vita. Ma fanno anche altro: si relazionano tra loro e crescono le loro consapevolezze sociali e affettive. In ultimo per quanto riguarda la scrittura ha significato eliminare dal vocabolario ogni nome, aggettivo e verbo che riportasse all’uso del metallo. Credo sia saltata quasi la metà del vocabolario. All’epoca esistevano solo la pietra, il legno e le pelli animali e il principale strumento musicale era il Tamburo, fatto di legno e pelle. Moltissimo del nostro vocabolario e della nostra immaginazione è legato al metallo: i suoni, gli odori, i sapori, i colori, i materiali. Il termine che più si avvicina al nostro mondo, ma che ho ritenuto legittimo utilizzare per l’epoca preistorica, è stato ‘clangore’, riferito al rumore dell’ascia di pietra che colpisce un oggetto. Diciamo che mi sono ripulita mente e corpo e ho cercato di contattare l’istinto di sopravvivenza e la capacità di adattamento che caratterizzano l’essere umano. Spero di aver rappresentato almeno un poco di tutto questo.
Quali sono i messaggi più significativi che ha voluto trasmettere con la sua opera?
Noi impariamo a pensare alla storia attraverso la descrizione delle grandi civiltà del passato. Ma quelle civiltà non sono nate dal nulla. È cercando quel ‘nulla’ non insegnato, ma solo accennato, che si trovano molte risposte. Per esempio: il mito delle Amazzoni ci viene descritto da una società già incentrata sulla guerra e la forza maschile, ma le Amazzoni non sono nate dal nulla. Sono la testimonianza di un evento – che non conosciamo e appunto mitizzato - che in un passato remoto è accaduto, un passato in cui le donne erano di pari grado agli uomini, ma di cui si è persa traccia e non si è persa a caso. Perché la storia che noi narriamo è quella nata con l’affermarsi del possesso e dell’uomo come capo famiglia. Si chiama ‘patriarcato’. La storia del patriarcato è l’unica che viene narrata, è la nostra storia. Ho cercato di rivalutare la figura femminile attenendomi a dati esistenti, scientifici. La ‘Grande Madre’ rappresenta la raffigurazione della Natura che genera ed è una raffigurazione presente ovunque dai tempi più remoti. La nascita di un bambino è sempre stato un mistero e lo era anche ai tempi delle grandi civiltà quando si è iniziato a ipotizzare un possibile collegamento tra rapporto sessuale e gravidanza. Il patriarcato nasce anche da lì: capire questo rapporto ha permesso agli uomini di affermare la loro proprietà sui figli e sulle donne. Altro messaggio importante è la definizione della parola ‘sentimento’ e ‘amore’ nelle sue varie declinazioni: il sentimento di amicizia, il sentimento che crea una coppia, il sentimento di un uomo verso dei bambini che non sa essere suoi figli, ma che riconosce come oggetti del suo amore. La parola ‘Padre’ non nasce come descrizione di un possesso, ma come descrizione di un sentimento di affetto e di cura verso il bambino. Così come, e l’antropologia oggi lo dichiara apertamente, la coltivazione dei cereali e la domesticazione in genere delle piante sono nate prevalentemente dalla mano delle donne che andavano alla raccolta ed erano in contatto diretto e quotidiano con la vita della natura. Solo dopo, quando la società si è strutturata in insediamenti stabili e organizzati, l’agricoltura è divenuta monopolio, nel senso di possesso, maschile. Ma nella preistoria l’idea di ‘possedere’ la Natura non aveva alcun senso.
Ha in cantiere qualche opera similare?
Al momento no, ma se qualcuno mi suggerisce che potrebbe interessare proporre un racconto in un’epoca di poco successiva a quella descritta nel mio libro, ci potrei ragionare. Me lo state suggerendo?
A proposito del suo libro...
Dopo aver pubblicato un romanzo e una raccolta di racconti con due case editrici ho liberamente scelto di pubblicare Il Tempo del Tamburo in self. I motivi sono svariati, ma qui ne elencherò solo uno: l’impegno dell’autore dedicato alla promozione – tempo, creatività e denaro – va a suo sostegno e non a sostegno di altri che in cambio non danno nulla. Il Tempo del Tamburo è un libro che mi ha profondamente coinvolta, al quale tengo moltissimo e merita la mia dedizione. Lo potete acquistare in cartaceo o in ebook su Amazon all’indirizzo:
LA SINOSSI
Il romanzo si snoda agli albori dell’era neolitica, quando l’essere umano ancora vive come cacciatore-raccoglitore, organizzato in piccole tribù e conosce solo la pietra e il legno. Il tamburo è il principale strumento utilizzato e scandisce i momenti topici della vita della tribù. Il racconto è costruito sulla base di riscontri antropologici – Yuval Noah Ha, J. Scott, Diamond, ecc.- e archeologici – il testo si ispira agli scavi di Göbekli Tepe dell’archeologo Klaus Schmidt scopritore del sito-. La vicenda si svolge alle basi del monte Urartu – antico nome dell’Ararat- dove avviene la costruzione dei due templi, uno dedicato ai defunti, l’altro dedicato alla Grande Madre. Qui si compie il destino di Hay, bambina nata senza una tribù, che intraprende il suo viaggio nella vita in compagnia di Gnu, lo sciamano che la salva riconoscendone le qualità nascoste. È una storia al femminile dove Hay rappresenta uno dei possibili eventi che la tradizione storica narrata o documentata ha voluto dimenticare, ma della quale, leggendo tra le righe della mitologia e della storia, si possono trovare tracce concrete. Un racconto di come le donne hanno, in un giorno remoto, partecipato alla rivoluzione neolitica e di come abbiano potuto dire ciò che pensavano e fare ciò che volevano. In questa nuova realtà corale si avviano trasformazioni sociali e emotive individuali importanti - come nominare il sentimento amore e riconoscerne le varie espressioni, o il concetto e la parola di padre - che porteranno alla rivoluzione neolitica. Il racconto è diviso in tre parti non suddivise al loro interno in capitoli dove la storia è narrata in prima persona dai personaggi. Libro I lo sciamano e la bambina Libro II i templi, il fiume, la valle Libro III “Zhoghovurd”. Le parole in corsivo sono la traslitterazione in alfabeto latino della lingua armena.